Care socie e cari soci,
nel formularci gli auguri prendo a prestito quest’anno le parole del poeta Mario Luzi:
…ben dentro il plasma umano/flagrando/quella profetizzata/e temuta natività/che essi vedevano e adoravano/perduti/nella raggiante oscurità
(Mario Luzi, I Pastori, da: Frasi e incisi di un canto salutare)
Credo ci sentiamo in molti così: confitti dentro le cose dell’uomo e delle comunità, nel plasma umano, frementi nella speranza (o il nostro lavoro, che impasta il presente col futuro e che in un’altra poesia sempre Luzi definisce “l’Opera del mondo”, non avrebbe senso), costantemente immersi in una raggiante oscurità.
Questo interregno luminoso e oscuro, terribilmente ambivalente nelle opzioni che dischiude, ancora equiprobabili ma niente affatto equivalenti per i destini della stessa umanità, è indubbiamente una delle tracce dei tempi che attraversiamo: “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” (A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Q 3, §34). Ognuno, a questo tracimare del morboso in mezzo a noi, sovrapponga volti, detti, fatti e fenomeni sociali che preferisce.
Il punto è che viviamo una fase di transizione estremamente ambigua, che seguendo Mauro Magatti in “Cambio di Paradigma” (leggetelo soci, è un libro che vale!) possiamo riepilogare così: al modello sociale impostosi dagli anni ‘80 all’inizio del millennio, caratterizzato da un elevatissimo indice di individualizzazione dei rapporti, e fondato su un’espansione illimitata dei consumi individuali contro una capacità quasi altrettanto illimitata di espansione del credito finanziario, succedono un’istanza e una domanda sociale qualitativamente diverse, tali da presupporre l’articolazione di un nuovo modello. Il precedente, che portava con sé come presupposto e conseguenza la risoluzione dei legami molecolari tra le persone, per favorire la leva dell’autorealizzazione individuale, è andato a infrangersi sugli scogli della crisi economica del 2008, che ne ha svelato la radicale insostenibilità. Da quel momento in poi siamo entrati in una fase nuova, di potenziale “cambio di paradigma”, in cui in modo estremamente ambiguo si pone di nuovo come questione sociale prevalente la rilegatura dei rapporti precedentemente sciolti. Come ricostruiremo il legame sociale? È questa la domanda sociale cui stiamo faticosamente tentando di rispondere, secondo due opzioni concorrenti e mutuamente escludenti:
a) una rielaborazione del legame sociale in termini identitari, difensivi e oppositivi. È la soluzione già tragicamente sperimentata in Europa nell’epoca più buia della sua storia, negli anni ‘20 e ’30 successivi alla prima guerra mondiale e alla grande crisi economica del ’29; con la non piccola differenza che oggi la domanda securitaria e di efficienza sarebbe presa in carico da una tecnologia sempre più pervasiva, capace di efficientare non solo i contesti produttivi, ma le stesse dimensioni individuali e private.
b) Una seconda opzione, ad oggi ancora aperta, è che invece prevalga un modello di scambio sociale del tipo “sostenibilità vs contribuzione”: in questo caso il legame sociale si salda non sulla difesa e sulla proiezione del nemico esterno, ma sulla capacità di ciascuno di “contribuire” al bene comune, e ben al di là della leva fiscale, in cambio di una maggiore sostenibilità umana, personale, familiare e sociale. In cambio di una maggiore sensatezza di vita e consonanza al desiderio antropologico di significato nella relazione che anima ogni uomo. Si tratta, in sintesi, del modello richiamato nel cosiddetto paradigma della “generatività sociale”, che è stato proprio Magatti a introdurre nel recente dibattito.
Io credo sinceramente che la raggiante oscurità che tutti attraversiamo sia in sintesi questa. Al di là delle missioni particolari che ciascuna delle nostre organizzazioni legittimamente persegue, persino contendendosi lo spazio con quelle altrui, esiste credo una missione di insieme della cittadinanza organizzata, del Terzo settore, della Politica e della migliore Amministrazione pubblica e, sommessamente, della nostra funzione di progettazione sociale, tutta da riarticolare. La esprimerei così: oggi il nostro scopo ultimo è gettare il peso dei nostri sistemi di scambio sociale, basati sulla contribuzione e la sostenibilità, sulla bilancia dei paradigmi concorrenti, perché a prevalere sia un modello di società non inacidita nei rapporti, non vittimista, capace di allargare lo spazio della contribuzione invece di restringerlo, desiderosa di una protezione declinata in termini di inclusione e reciprocità invece che di esclusione a scapito di qualcuno, cui far pagare le nostre contraddizioni interne. Nonostante le morbose apparenze, è una partita ancora tutta aperta e da giocare con speranza.
Augurio migliore di giocarsi fino in fondo questa partita, a ciascuna e ciascuno di noi, non sento quest’anno di poter fare, né scorgo modo migliore di stare in questa raggiante oscurità.
Antonio Finazzi Agrò, Presidente