La progettazione sociale è l’impegno di qualcuno a sostenere l’impegno di tanti altri per il bene di tutti.
Nella storia recente questo ha significato soprattutto l’opera di mediazione tra soggetti che hanno risorse finanziarie, indirizzi strategici e potere di controllo e soggetti che hanno competenze operative e il compito di realizzare i servizi e gli interventi in favore dei destinatari. Da progettisti sociali abbiamo una posizione privilegiata per comprendere come questo processo si sta realizzando e quali siano le attuali questioni critiche, che possono determinare il futuro del sistema.
Le domande della progettazione sociale
- Cosa distingue un progetto sociale da un progetto?
Un progetto è un insieme di attività organizzate e definite (tempo, risorse, contesto) che sono orientate ad uno scopo; potremmo sostenere che un progetto sociale è semplicemente un progetto che ha scopi sociali?
In alternativa, si può invece distinguere il progetto sociale non solo per lo scopo, ma per la funzione trasformativa che riguarda lo stesso processo, per quanto attiva partecipazione, potere diffuso, capacità di iniziativa.
Si potrebbe dire che l’opzione sia tra il considerare le persone che collaborano al progetto come semplici strumenti o come parte, costitutiva e ineliminabile, del fine. È evidente che l’una o l’altra scelta hanno rilevanti conseguenze rispetto all’impegno richiesto ai progettisti e agli operatori. Concentrarsi sui risultati significa richiedere soprattutto di orientare la nostra attività a questi ed essere valutati su questi. Includere il percorso e il processo significa che l’attenzione degli operatori e dei portatori di interesse debba riguardare anche le modalità in cui il progetto si realizza.
- Qual è il miglior sistema di governo e di interlocuzione tra soggetti della programmazione e soggetti attuativi?
Nell’interesse collettivo, occorrerebbe che questo rapporto fosse il più possibile capace di produrre miglioramento nelle pratiche organizzative e nella qualità delle attività.
Da operatori della progettazione, ci sembra che attualmente la relazione sia basata su pratiche quasi sempre formali ed a documentazioni scritte. Ad esempio, nel momento in cui si deve decidere quale progetto finanziare ci si basa su una gara e sulla valutazione del documento progettuale, spesso molto sintetico; oppure, nel momento in cui occorre valutare la realizzazione di un progetto, si utilizzano prodotti finali e documentazione rendicontativa, anch’essa sintetica.
Questo modello, che motivazione ha? Che efficacia ha? Si possono eventualmente immaginare alternative, nuove opzioni di governance e migliorino il dialogo tra operatori e finanziatori?
- Quali sono i criteri che determinano l’efficacia di un progetto e quindi possono motivare il suo finanziamento?
Ci sembra che stia dominando un modello razionalista, che individua logiche deterministiche, portando i progetti ad identificare meccanismi supposti causali (condizioni, attività, risultati prodotti, effetti nei destinatari, impatto nel contesto) e che quanto più questa sequenza è argomentata e fondata su informazioni certe, quanto più si ritiene il progetto abbia probabilità di raggiungere gli obiettivi, quindi è valutato positivamente.
Ma è veramente questo modello che consente alla progettazione di migliorare e al sistema (finanziatori, organizzatori, operatori, destinatari) di produrre valore sociale?
A noi sembra che spesso questa impostazione porti il lavoro sociale a imitare modelli previsionali, ma che questo induca falsificazione della realtà e riduca molto le capacità di cambiamento, cioè che sia in atto una forzatura che tende a oggettivare processi necessariamente soggettivi e retti da significati condivisi, piuttosto che da regole e rapporti causali.
- Operare in un sistema di avvisi e progetti limitati nel tempo è il modo più efficace per generare cambiamento?
È un tema annoso, e riguarda il meccanismo di dipendenza che i finanziamenti per progetti induce nelle organizzazioni, che sono portare a orientare la propria azione ai vincoli, contingenti, dei bandi, piuttosto che alla propria mission.
Questo modello limita le potenzialità delle organizzazioni impegnate nel sociale? È possibile superarlo, ed è utile uscire dalla logica dei progetti?
L’impegno di APIS
Fare parte strutturale di un sistema consente, a chi ha interesse, di riconoscerne le criticità e le dinamiche, quindi di iniziare a identificare alternative. Ci sembra che vi siano molte questioni (di cui in questo breve articolo abbiamo riportato le principali) che limitano il contributo che la progettazione sociale può offrire alla società.
Il tema riguarda certamente il lavoro sociale, ma anche in generale l’impegno comune a migliorare i contesti sociali e la fiducia che possiamo avere in questo impegno.
Rileggere e trasformare le prassi della progettazione sociale può essere un passaggio molto importante per rinnovare, secondo modalità inedite, le possibilità di partecipazione al progresso della comunità; le questioni che abbiamo accennato stanno promuovendo una riflessione interna alla nostra comunità di operatori, che speriamo presto possa interessare e coinvolgere anche chiunque le condivida e le ritenga rilevanti.
(Questo è il primo contributo che apre la pista, ponendo e approfondendo alcune questioni di fondo, ad una serie di altri contributi che seguiranno nell’ambito di una rubrica a cura del Cantiere “Riflessione Metodologica”, uno dei Cantieri associativi avviati da ottobre 2020. Fanno parte del cantiere: Jamil Amirian, Antonio Finazzi Agrò, Maria Teresa Scarpa, Laura Pucci, Monia Satta, Lucia Dal Negro, Francesco Tortorella, Manuele Cicuti. Il Cantiere ha lo scopo di approfondire riflessivamente gli aspetti costitutivi e metodologici, sia sul versante teorico che su quello pratico, della progettazione sociale. Perché di questa pratica tornino a riflettere e discutere anzitutto operatrici e operatori specializzati, che tutti i giorni vi dedicano i propri sforzi. Coordina il Cantiere Antonio Finazzi Agrò)