Apis è l’Associazione Italiana dei Progettisti Sociali.
Ieri sera ero a cena con mia nipote, ha 14 anni, e mi ha detto: “Comunque zio, io ancora non ho capito che lavoro fai”. Ha ragione lei, ovviamente, hanno ragione tutte le persone che cambiano discorso senza approfondire ogni volta che diciamo “sono un progettista sociale”, invece di dire, ad esempio, sono un ingegnere informatico, o un finanziere, o un allenatore di pallavolo.
La nostra è una professione poco conosciuta e anche poco comprensibile.
A volte esistono pure decisori che attribuiscono un finanziamento senza prevedere che si debba pagare una o più persone per sviluppare il progetto, a volte ci chiedono persino di lavorare gratuitamente. Noi siamo poco visibili, e talvolta anche poco valorizzati; può capitare che facciamo anche fatica a difendere la nostra funzione, che la dobbiamo svolgere ritagliando il tempo rispetto a responsabilità dirigenziali, di coordinamento o operative, molto più giustificabili e legittimate.
Quindi, ed è una domanda che a volte ci siamo fatti, perché deve continuare la storia di APIS, e perché adesso assumerci nuovamente la responsabilità dirigenziale per questa consiliatura, e, personalmente, perché diventarne presidente?
Il mio saluto parte da qui, da una domanda semplice e preliminare. Perché ha senso porre attenzione e energie per la progettazione sociale, nonostante tutto?
Io credo che, intesa in senso proprio, la progettazione sociale abbia una delle principali funzioni nella società, in questo periodo soprattutto; questa funzione è il presidio di processi decisionali collettivi orientati al miglioramento.
Significa accorgersi e porsi con chiarezza la questione di facilitare l’impegno comune di persone diverse, che ricoprono posizioni diverse, che parlano linguaggi diversi, che hanno risorse, motivazioni, domande, visioni diverse, che forse, senza un progettista sociale, non andrebbero nemmeno d’accordo per un minuto, perché riescano realmente a migliorare, insieme, la vita di tutti. Significa, fondamentalmente, aiutare ad aiutare, spesso senza nemmeno vivere la gioia della gratitudine, perché siamo troppo dietro le quinte.
Significa riconoscere che, se non si pone questa attenzione, allora la società perde tantissime preziose occasioni e, con il tempo, anche tante speranze e tante potenziali disponibilità.
Vista così, poche funzioni sono importanti come la progettazione sociale, e continuo a pensare che una parte importante della demotivazione alla partecipazione che ha caratterizzato gli ultimi anni, dipenda anche da un’assenza di capacità di cambiamento collettivo, di perseguimento di obiettivi visibili, credibili e soddisfacenti, di direzioni strategiche chiare, secondo processi trasparenti e condivisi. Per questo tante persone hanno meno fiducia nei gruppi che si prefiggono scopi pubblici e anche nella politica stessa.
In mano alla progettazione sociale, se si può dire così, sta una parte rilevante del destino del nostro vivere comune. Perché se è vero che tanto impegno poco concludente o tante dinamiche opache e farraginose, tanti riduzionismi e tanti personalismi dilaganti negli spazi pubblici, possono ricondurci al nostro privato, alla disillusione, al nostro egoismo e ad uno sguardo difensivo sull’immediato, è vero anche che recuperare la possibilità di cambiamento e di costruzione di percorsi efficaci e sostenibili, con prospettive profonde, può rinnovare, anche molto facilmente, la passione di tutti all’impegno collettivo.
Torniamo qui, torniamo ad APIS.
Abbiamo chiuso questo primi 11 anni sentendoci piuttosto incerti, con un’organizzazione minima e pochi mezzi. Ma abbiamo trovato due risorse che credo avranno un enorme valore per il futuro.
La prima sono le domande giuste. Abbiamo realizzato un percorso in cui siamo giunti a porci con chiarezza alcuni problemi, che conducono ad alcuni obiettivi, ai quali dedicheremo i prossimi anni.
La seconda sono i nuovi compagni di viaggio, ovvero persone che hanno condiviso negli ultimi tempi, le riflessioni e i problemi.
Si tratta di un gruppo nuovo, di persone che hanno sviluppato competenze molto alte, che hanno scoperto di condividere ambiziose direzioni di cambiamento.
Dalla nostra confusione, anzi, dalla nostra incertezza, intendo nostra dei compagni degli ultimi anni Antonio, Federico, Annaleda e Marco, siamo entrati in una nuova fase, che appare entusiasmante, che vivrà di nuovi amici, come Fabio, Sabrina, Lucia, Alberto, e come i tanti che in questi mesi ci hanno comunicato, a parole e con la presenza e l’impegno, di volere far parte della nostra storia futura.
La scelta stessa di essere progettisti sociali comporta la responsabilità di provare a migliorare il mondo, la scelta di dedicarsi ad APIS comporta la responsabilità di facilitare la vita a tutti coloro che vorranno migliorare il mondo; pensiamo di farlo diffondendo metodi, competenze, risorse, o anche supportando processi organizzativi perché divengano più sensati e attenti ai valori e alla realtà.
Se il nostro compito è importante, è vero anche che le persone che abbiamo incontrato e tutte quelle che, speriamo, si vorranno aggiungere, potranno renderlo appassionante.
Per questo APIS mi sembra il luogo giusto dove stare in questo momento, per questo esserne presidente mi sembra anche un grande privilegio.
Grazie a tutti e viviamoci insieme questo viaggio.